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Il proptech italiano? Giovane e dinamico, ma fatica a trovare fondi

Un settore dinamico, formato da aziende giovani e innovative, che spesso collaborano tra loro. I dipendenti? In massima parte millennials, nati tra il 1980 e il 1999. Molta voglia di crescere, ma una certa difficoltà a trovare finanziamenti. Questa, in estrema sintesi, la fotografia del proptech italiano nel 2021 scattata dal Politecnico di Milano in collaborazione con Italian Proptech Network e neprix. Il rapporto, annuale, è giunto alla quarta edizione.

Che cos’è il proptech

Il neologismo “proptech” nasce nel Regno Unito nel 2014 dalla crasi tra “property” e“technology”. L’espressione descrive l’insieme di soluzioni, tecnologie e strumenti per l’innovazione di processi, prodotti, servizi e mercato nel real estate.

Sono 184 le realtà italiane censite. La rilevazione non si è limita alle startup, ma include aziende più consolidate che propongono prodotti e servizi del tutto innovativi in un comparto per natura legato a procedure e modalità operative non sempre facili da ripensare.

Il 30% delle proptech censite (52 su 184) è stato fondato tra il 2018 e il 2019, con una flessione nel 2020 e 2021, dovuta - spiegano gli analisti - all’impatto della pandemia e alla fase di consolidamento che il settore sta attraversando nel nostro paese.

Quattro macro-cluster, ma vincono i servizi

Il 70% delle aziende censite è stato fondato al nord, il 13% al centro e il 5% al sud. Il restante 12%, invece, è nato all’estero da imprenditori italiani che, per varie motivazioni, hanno scelto di avviare la propria attività oltreconfine.

Quattro i macro-cluster, con una distribuzione tutto sommato omogenea: vincono i servizi professionali (32%), seguiti da real estate fintech (27%), sharing economy (22%) e smart real estate (19%).

Se nel 2019 il cluster più popoloso era quello del real estate fintech, già a partire dal 2020 la categoria servizi professionali si è mostrata prevalente sulle altre. Al contrario, la categoria smart real estate (riservata alle aziende che impiegano tecnologie nella gestione degli asset immobiliari) è risultata ultima in tutte le edizioni.

Aziende giovani e che collaborano

I ricercatori milanesi hanno proposto a tutte le società individuate un questionario che prende in analisi un ampio numero di dimensioni: dalla mappatura geografica al funding, dalla propensione a collaborare alle prospettive di crescita. Ha risposto solo una frazione del totale (65 aziende in tutto, di cui 48 hanno completato tutta la survey): un campione ritenuto, però, rappresentativo, e sufficiente a fornire almeno un quadro sommario della situazione.

Tre quarti delle società analizzate contano meno di venti dipendenti. Tanti i giovani: una su tre dichiara di avere assunto ben il 90% di millennials. Ma non manca l’apporto di professionalità senior, fondamentali per la rete di relazioni che portano in dote, la conoscenza del mercato e la capacità di reperire finanziamenti.

Tre ondate di innovazione

Dal punto di vista dell’innovazione nel settore del real estate, sono tre le ondate descritte in letteratura. La prima ha visto l’introduzione di software come AutoCAD, la seconda lo sviluppo di piattaforme online basate su modelli e-commerce e la terza, tuttora in corso, l’ingresso nella sfera dell’immobiliare di nuovi approcci, come quelli legati alla blockchain.

Dall’analisi delle risposte fornite si evince che ogni organizzazione utilizza in media 2,6 tecnologie per sviluppare le proprie soluzioni e prodotti: un dato in aumento rispetto al 2020, quando la media si fermava a 2,3.

Indagando oltre, il 69% delle proptech italiane (33 su 48) utilizza sistemi per la raccolta e gestioni di grandi quantità di dati (big data analytics, data science e data sharing). Seguono i sistemi progettati per migliorarsi nel tempo (intelligenza artificiale e machine learning, selezionati dal 54% del campione). Poche realtà hanno, invece, puntato su innovazione dei materiali, modellazione, stampa 3D e automazione robotica.

“Tutte le tecnologie utilizzate hanno ormai raggiunto il ‘plateau of productivity’”, commentano gli analisti. “Si può concludere che le proptech introducono grande innovazione, ma utilizzano tecnologie consolidate, che altri settori stanno già superando”.

Difficile ottenere fondi

Lo studio fotografa un settore giovane. Il 21% dei rispondenti ha dichiarato di trovarsi in fase “preseed”, cioè embrionale, con finanziamenti ottenuti da amici e familiari. La casella “early growth”, tra incubazione e accelerazione, totalizza il 29% delle risposte, contro il 23% della casella “growth”, riservata alle aziende che affrontano il mercato a viso aperto. Solo il 4% ha dichiarato di trovarsi in fase “exit”.

Rispetto al 2020 (IPM, 2020), aumenta il numero delle organizzazioni che dichiarano di avere ottenuto due o anche tre round di finanziamento: questo dato va a confermare ulteriormente l’ipotesi di un consolidamento del settore. Che, però, denuncia da più parti la difficoltà di reperire i fondi necessari a crescere.

Per quanto riguarda proprio i fattori che inibiscono la corsa al successo, gli imprenditori segnalano la bassa propensione del comparto all’innovazione (83%) e la debolezza dell’ecosistema proptech nazionale (83%). Tre operatori su quattro (77% degli intervistati) lamentano una mancanza di cultura tecnologica e digitale nei clienti finali.

Meglio collaborare

La collaborazione è ritenuta fondamentale. Metà degli intervistati (il 48%) dichiara di aver appreso conoscenze da partner esterni (il 21% da collaborazioni con centri di ricerca e sviluppo: ad esempio le università). Il 69% valuta che condividere spazi può essere molto utile, mentre il 38% già lavora in coworking: qui, raccontano le aziende, sono più facili lo scambio di idee e l’interazione tra realtà diverse. Ma non è così per tutti: un’azienda su tre preferisce il classico ufficio. Secondo gli analisti, le riserve sono legate alla privacy ed alla proprietà intellettuale.

Conclusioni

In generale, secondo le proptech intervistate, il settore a oggi non è ancora completamente maturo: in una scala che va da 0 (per niente) e 5 (molto), viene valutato in media 2,2.

"In generale nel nostro Paese è ancora molto lento lo sviluppo delle competenze digitali; come Politecnico, in collaborazione con partner industriali come neprix, ci piacerebbe pensare di poter contribuire in maniera positiva: il nostro Proptech Monitor vuole supportare la diffusione delle buone prassi e favorire la possibilità di uno scambio sinergico di innovazione e crescita; questo “hub” animato dalle idee, dove processo metodologico, esperienze e sapere strutturato facilitano la circolazione delle opportunità, sta crescendo e siamo certi che porterà risultati interessanti, sia per la ricerca che per il mercato" commenta il prof. Andrea Ciaramella - Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito.

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